Mostre

Mario Termini, pittore e scultore di Enna, ha reso nota la sua arte anche al di fuori dei confini nazionali. Le opere creative dello scultore sono contaminate anche dall' arte nordica

 
 

“La donna – un Libro d’Arte” – Castello Manfredonico di Mussomeli, anno 2019

La mostra che mi accingo a presentare penso sia nata lì, tra le colline di Motta D’Affermo in un suggestivo scenario d’arte.
Un sentimento di “Meraviglia” mi prese nell’osservare le opere di Mario Termini, ovviamente filtrate da uno schermo, in quell’occasione, e non dimeno mi affascinarono le sue parole. Suscitare “Meraviglia” attraverso il diletto e l’esercizio della Bellezza vuole essere uno degli obiettivi che questa mostra si propone.
Abbiamo scelto un titolo: “La Donna – un libro d’Arte”, escludendone altri che pur ci sembravano appropriati, perché comunque Donna – Arte è il binomio che ha fatto la storia dell’arte e dell’umanità tutta.
Attraverso le opere che ha selezionato per questa Mostra, Mario Termini, artista immaginifico conosciuto in tutto il mondo, ci fa dono della sua Arte e della bellezza quale forma generativa ad essa intimamente connessa.
Il percorso artistico proposto è l’intimo riflesso di quello autobiografico dell’uomo Mario Termini. In tale contesto di senso, assume una valenza fondamentale il “Ciclo della Lumaca” che diventa metafora delle vicissitudini personali dello scultore. Perché, quando il vortice esistenziale lo travolge con la sua furia, Mario Termini, come la Lumaca, compie il suo percorso alchemico: striscia faticosamente per poi, però, librarsi nell’infinito cosmico. E, dall’anima del tempo passato, dalle sue sedimentazioni nasce, per decantazione uno spirito rinnovato che va oltre i bagliori della memoria e del ricordo, eternizzando un istante.
Fisico e metafisico si fondono: si confondono nelle iconiche figure di Mario Termini; la realtà si smaterializza nell’opera, dando spessore alle ombre e ai riverberi della mente che ha scoperto l’alterità.
La mostra si propone quale attraversamento emotivo di un vissuto che trasuda mito, letteratura, sentimento.
Spirito complesso e tormentato, poliedrico, versatile, eclettico e, per questo, votato alla ricerca perenne e all’insoddisfazione, nella sua unica, personale, superiore visione artistica, Mario Termini rappresenta l’immagine della Donna quale archetipo universale, radicato nell’inconscio collettivo esulando da quella che potrebbe essere una mera, se non alquanto riduttiva, rappresentazione: rappresentazione del sensibile.
Emilia Di Piazza, Giornalista


“La donna – un Libro d’Arte” – Castello Manfredonico di Mussomeli, anno 2019

Le Veneri di Mario termini sono figure fluenti, sinuose, eppure potenti, sono quelle primordiali, simbolo di un richiamo al modo greco che fu e di un’Arcadia ancora possibile.

In quelle Figure si racchiude il mistero del mondo, quello slancio vitale, quell’ “eterno femminino” che è elemento eterno nell’uomo che anela all’eterno del mondo, in quell’infinito, a volte anche eretico, dove sconfinano i pensieri dell’umano sentire.

Dell’Aurea e della Luce ci parla, con proficue significanze, Mario Termini. Mirabile compresenza di apollineo e dionisiaco, la doppia anima dello scultore si esprime, si realizza e si concretizza nella sostanza che alimenta il divenire artistico. Così il Caos si sublima nella Forma e l’irrazionale, che è la genesi prima dell’opera, si ricompone sotto un ordine razionale.

Nel conflitto, nella polarità, a volte irrisolta, nella tensione oppositiva fra due estremi, i due principi vitali, quello maschile e quello femminile, l’uomo riconosce i suoi intimi drammi e l’essenza delle sue lacerazioni, mentre l’artista, nella sua vaga accezione androgina, traduce questa tendenza in Arte.

Perché in Arte tutto è possibile, in Arte tutto è il contrario di tutto, ogni verità è anche la sua negazione.

Ecco perché l’Arte è, e deve essere, ambigua, perché quelle Forme ti parleranno sempre e, in un modo sempre diverso, ti evocheranno una moltitudine di suggestioni e di suggerimenti mai sentiti.

Questo è il miracolo operato dall’arte: la promessa, per quanto possibile mantenuta, di “renderci felici”.

Emilia Di Piazza, Giornalista


Da “Le grazie di uno sguardo”

[…] Altro aspetto che mi preme sottolineare, in questo breve contributo, è il fatto che Mario Termini ha una carriera di scultore per se stesso, indubbiamente come molti; ma soprattutto è espressione di una attenzione continuativa nel tempo per l’arte pubblica monumentale. Il dato non è indifferente: esso chiama in causa la responsabilità civile dell’artista e s’incardina in una significativa tradizione italiana che dal Rinascimento in avanti ha improntato l’urbanistica e l’estetica della città.
Il centro del consesso sociale è, nella lezione umanistica, la piazza, la fontana, l’acqua ed il complesso di immagini simboliche, storiche che vi gravitano attorno, rese manifeste dal monumento in bronzo, in pietra, etc. Un retaggio classico greco e romano che si riafferma in Italia e nel mondo come statuto civile, sentimentale (nel senso patrio del termine) e politico.
Sempre nell’ambito dell’arte pubblica monumentale, negli ultimi anni Termini ha percorso vie internazionali, affermando la sua opera in diversi simposi: a Penza (Russia nel 2011 e 2012), ad Uzerche (Francia) nel 2011; a Saariselka (Finlandia) nel 2014 e nel 2017. Le sculture che ne derivano si staccano dagli affanni della vita quotidiana e, così lontani da casa, assumono un respiro che l’autore ritroverà, nella sua terra natale, solo nelle prove più recenti.
Mi piace segnalare due legni di grande respiro, integralmente nordici per materia ed espressione: due cariatidi che egli scolpisce in Lapponia. In esse si incarnano l’epica e la favolistica popolare scandinavi, con il loro problema di fate, elfi, divinità sub polari dal candore boreale.
Nella produzione più recente, dicevamo, tutto tende verso l’alto e la materia rischiara; ricominciare, raggiungere il confine, trasformare sono le parole d’ordine degli ultimi anni. La lumaca ha raggiunto il suo scopo alchemico: con un grande saluto al passato può ora volgere gli occhi verso le nuvole, nelle grazie di uno sguardo femminile, verso il divino.
Vittorio Ugo Vicari, Storico dell’Arte